mercoledì 13 settembre 2017

"Spigolature linguistiche" (2)


Mettere in guardia – l’espressione significa avvisare qualcuno di guardarsi da persone o da cose dalle quali potrebbe averne un danno e si costruisce, per tanto, con la preposizione da, non su: Paolo ha messo in guardia Giovanni dai risultati che otterrebbe se intraprendesse quella strada. I giornali non rispettano questa "regola" e scrivono su. Se amate la lingua...

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L’articolo, come recitano i vocabolari e le grammatiche, è “quella parte variabile del discorso che determina e distingue il nome o il pronome a cui è unito”. Alcune volte, però, il suo uso è superfluo e va a discapito della “scorrevolezza” dei nostri scritti: sta alla nostra “sensibilità linguistica”, dunque, l’uso dell’articolo. Vediamo, piluccando qua e là, alcuni casi in cui l’articolo (superfluo) appesantisce il discorso. In corsivo l’articolo superfluo. L’oratore ha parlato in un modo meraviglioso; nel nostro Paese la caccia è quasi esclusivamente praticata  allo  (a) scopo di diporto; l’insegnante aveva da fare con degli alunni incorreggibili; l’uomo rapito e tenuto prigioniero per sei mesi non ebbe che del pane e dell’acqua; il giovane arrestato ha confessato ai giudici delle cose da fare inorridire; quel ragazzo aveva delle orecchie enormi, che lo rendevano veramente ridicolo; gli ospiti stranieri hanno voluto rendere un omaggio ai nostri Caduti; tutto ciò fu una mera illusione.

  

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 Due parole due sull’uso corretto di qualunque perché non sempre è adoperato... correttamente. Qualunque, dunque, è un aggettivo indefinito di quantità  e significa l’uno o l’altro che sia. È invariabile e non si può adoperare in funzione di pronome (il pronome corrispondente è chiunque). Essendo invariabile non ha plurale;  non è “ortodosso”, quindi, scrivere o dire, per esempio: non mi convincerete mai, qualunque siano le vostre motivazioni. Un verbo di numero plurale (siano) non può riferirsi a un singolare (qualunque). In casi del genere si sostituisca qualunque con quali che (siano le motivazioni). Alcuni vocabolari ammettono, sia pure raramente, l’uso al plurale, in questo caso, però, sempre posposto al sostantivo. Un’ultima annotazione. Qualunque si può adoperare anche in funzione di aggettivo relativo unendo due proposizioni e il verbo che segue va al congiuntivo (popolare l’uso dell’indicativo). In quest’ultimo caso è grave errore farlo seguire dal pronome “che” (essendo insito in qualunque). Non, quindi: voglio sapere qualunque cosa che voi facciate, ma, correttamente, “qualunque cosa facciate”.



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Metro cubo o metro cubico? Secondo alcuni “sacri testi” entrambe le forme sono corrette. A nostro avviso la sola forma corretta è metro cubo: cinque metri cubi. Il metro cubo è un’unità di misura di volume, pari a un cubo che ha lo spigolo di un metro. Donde salta fuori quel “cubico”? Lo stesso discorso per metro quadrato. Non si dica, quindi, cinque metri quadri (come si sente e si legge spesso) ma cinque metri quadrati.



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 Probabilmente non tutti saranno d’accordo su quanto stiamo per scrivere (ogni giudizio, ovviamente, è soggettivo). Nel nostro lessico c’è un verbo che  “sa” troppo di burocrazia e andrebbe,  a nostro modo di vedere, sostituito con altri piú  “consoni”. Il verbo incriminato è  “declinare”. Non dimentichiamo che l’accezione primaria del suddetto verbo è  “volgere, tendere gradatamente al basso” derivando dal latino “chinare” (inclinare): la montagna ‘declina’ verso la pianura. Adoperarlo nel senso di  “rendere noto” o di “respingere” ci sembra, per l’appunto, un  “abuso linguistico”. Spesso, anzi sempre, si sente dire o si legge “declinò le generalità” (le rese note); la direzione “declina ogni responsabilità”; Mario “ha declinato l’invito”. Non è meglio dire “respinge” ogni responsabilità; “dette” (o riferí) le generalità e “ha rifiutato, non ha accettato” l’invito? Declinare, insomma, è un verbo che, a nostro avviso, meno si usa nelle accezioni “incriminate” meglio è per il  “bene” della lingua di Dante.



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A coloro che amano il bel parlare e il bello scrivere ricordiamo che la preposizione “su” si costruisce direttamente senza l’ausilio della sorella “di”, tranne che con i pronomi personali dove la preposizione “di” può essere o no espressa (dipende dal gusto personale). Scriveremo e diremo, quindi: il pappagallino è stato ritrovato “su” una casa diroccata (non: su di una casa); faccio affidamento “su di” te (ma anche: su te).

  

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È alquanto inutile - come molti fanno - far seguire il verbo "aggiungere" da "anche": aggiungere anche del pomodoro. Il suddetto verbo sta pure per anche; come per quindiinoltre, ancora.



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Sempre sulla lingua biforcuta della stampa:


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Dal titolo del giornale in rete apprendiamo - non lo sapevamo, data la nostra crassa ignoranza - che da un'inchiesta si può essere assolti.  Sapevamo che si può essere assolti da un'accusa, non da un'inchiesta. Da un'inchiesta si...  "esce". Non sarebbe stato meglio, al fine di non ingenerare  una "confusione linguistica", titolare "... assolto nell'inchiesta che..."?

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