sabato 29 aprile 2017

Defatigare e defaticare "pari" non sono


Tempo fa (forse è meglio: anni fa)  avevamo scritto alla redazione del  vocabolario Treccani in rete perché emendasse la voce "defatigare". L'emendamento non è stato preso in considerazione ed è un peccato perché un cosí autorevole vocabolario non può "permettersi" orrori di alcun genere. Riproponiamo quanto scrivemmo, sperando che...

Leggiamo dal vocabolario “Treccani” in rete:


defatigare
(non com. defaticare) v. tr. [dal lat. defatigare, comp. di de- e fatigare «affaticare»] (io defatigo, tu defatighi, ecc.), letter. – Stancare, esaurire le capacità di resistenza di una persona.
Part. pres. defatigante anche come agg., che affatica, che logora le forze. Part. pass. defatigato, anche come agg., affaticato, spossato.
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“Defaticare” non è una variante poco comune di “defatigare”. Sono due verbi a sé stanti e con significati diversi. “Defatigare”, con la “g”, è pari pari il latino ‘defatigare’ composto con il prefisso “de-” (che non ha valore sottrattivo) e il verbo ‘fatigare’ (affaticare) e significa “stancare”, “logorare”, “affaticare”. “Defaticare”, con la “c”, è composto con il prefisso sottrattivo o di allontanamento “de-” e il sostantivo “fatica” (‘che toglie, che allontana la fatica’). Si adopera soprattutto nel linguaggio sportivo nella forma riflessiva e significa “compiere determinati esercizi per togliere dai muscoli l’eccesso di acido lattico formatosi in seguito a sforzi prolungati”. Si potrebbe dire quindi, in senso lato, che “defatigare” sta per “procurare la fatica”; “defaticare” per allontanarla.
Altri vocabolari, comunque, sono incorsi nel medesimo “errore” del Treccani.


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La parola che proponiamo è ripresa dal Palazzi: gurgule. Sostantivo maschile con il quale si indica un canale attraverso il quale l'acqua piovana è gettata lontana dal muro; in questo modo si evita che il muro stesso si bagni e venga danneggiato dall'umidità.


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I "gazebo" o i "gazebi"?
I vocabolari consultati (De Mauro, Gabrielli, Garzanti, Treccani, Sabatini Coletti) non "consentono" il plurale del predetto sostantivo: il gazebo / i  gazebo. Lo Zingarelli è possibilista: i gazebo o i gazebi. Il DOP, Dizionario di Ortografia e di Pronunzia, non ha dubbio alcuno: i gazebi. A chi dare ascolto, dunque? Alla quasi totalità dei dizionari che non ammettono il plurale del termine in oggetto.  


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Pietire? Per carità, piatire!

Ripeteremo fino alla nausea che il verbo corretto è “piatire” (non “pietire”) che alla lettera significa “contendere in giudizio”, “dibattere” e, per estensione, “litigare” ed è un derivato del sostantivo “piato” (lite giudiziaria, controversia). Quest’ultimo sostantivo è il latino “placitum”, participio passato neutro del verbo “placere” (piacere); propriamente il “placitum” è un parere, una decisione, un’opinione, una sentenza e ha acquisito, nel tardo Latino, l’accezione di causa, lite. Piatire, dunque, significa discutere, litigare (durante il dibattimento in tribunale non si litiga, non si discute?). In seguito, attraverso un processo semantico e nell’uso prettamente familiare, piatire ha assunto – come possiamo leggere nel nuovo vocabolario della lingua italiana Treccani – il significato di “lamentarsi con tono querulo, fastidioso”; piatire sulla propria condizione; piatire sulla propria miseria; anche con uso assoluto (da solo): non fa che piatire. Adoperato in senso transitivo e familiarmente vuol dire, per l’appunto, “chiedere con noiosa e fastidiosa insistenza” (quasi litigando, da ‘piato’, lite, come abbiamo visto) assumendo atteggiamenti umili: piatire protezione, piatire favori. Questo verbo, insomma, non ha nulla che vedere con la “pietà” e il “pietismo”.


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