venerdì 20 gennaio 2017

Ancora sul sessismo linguistico. S.C. Sgroi


IL SESSISMO DELLA LINGUA È UN EQUIVOCO TEORICO

di Salvatore Claudio Sgroi *

Espressioni come (i) "la foto in topless del ministro [recte: della ministra] Giannini" (sul "Messaggero" 20.8.14), (ii) "Il marito dell'assessore [recte: assessora] Lucia de Siervo" o (iii) "il direttore [recte: la direttrice] Anna Bianchi", (iv) "il chirurgo [recte: la chirurga] Lucia Rossi", o ancora (v) "Anna e Paolo sono stanchi [recte: *stanche!]", (vi) "la Boldrini" [recte: Boldrini!], (vii) "la professoressa" [recte: professora!], (viii) "l'origine dell'uomo [recte: dell'uomo e della donna]", ecc. sarebbero -- per i teorici del sessismo della lingua -- tutte inficiate di "sessismo", di privilegiare cioè il maschile (ignorando il femminile) o di discriminare il femminile (rispetto al maschile). Da ciò la riformulazione "corretta", non sessista, sopra indicata con [recte]. I problemi linguistici sopra esemplificati sono l'oggetto del volumetto "Sindaco e sindaca: il linguaggio di genere" di Cecilia Robustelli. Secondo l'assioma di tale teoria, diffusa da Alma Sabatini (1987) e abbracciata dalla Robustelli: "la lingua italiana [...] è basata su un principio androcentrico" (p. 27). Tale teoria è in realtà fondata su una serie di equivoci. La lingua non è invero né contro né pro qualcuno. È l'uso che di essa vien fatto dai parlanti che può essere rivolto contro X o Y. E la lingua può quindi certamente essere adoperata in chiave anti-femminista, per es. se qualcuno dice di una donna che "è un orango" o "una bambola gonfiabile" (p. 9). Ma ritenere che il "genere grammaticale" ("maschile" e "femminile") abbia la funzione di indicare rispettivamente referenti maschi e femmine è del tutto fuorviante. Il "genere grammaticale" garantisce in realtà la coesione morfo-sintattica -- mediante l'accordo, per es. "articolo + (aggettivo) + Nome", ecc. --come in "una (bella) casa/donna" (rispetto a *"un bello casa/donna"). La presunta valenza semantica sessuale del genere grammaticale, conta tra l'altro non poche eccezioni. "La spia" può indicare sia un uomo che una donna; "l'aquila" può essere sia maschio che femmina, ecc. E poi come metterla con i nomi non-animati: "la tavola" e "il tavolo" devono il loro genere a quale componente sessuale? Negli ess. di cui sopra: (i) "il ministro Giannini", (ii) "l'assessore Lucia de Siervo", (iii) "il direttore Anna Bianchi", (iv) "il chirurgo Lucia Rossi", i nomi comuni trasmettono il loro significato istituzionale o professionale e non già quello relativo al "sesso", che è invece veicolato dal nome proprio. Così facendo il parlante decide di sottolineare il suo ruolo e non già l'appartenenza al sesso femmina. Nel caso (viii) de "l'origine dell'uomo", anche qui il maschile "uomo" è comprensivo di "uomini e donne", suscettibile sì di essere esplicitato, se il parlante lo ritiene opportuno. Nell'es. (vi) "la Boldrini" invero la lingua è paritaria, consentendo strutturalmente di distinguere anche omonimie, per es. "la Sabatini (Alma)" vs "(il) Sabatini" (Francesco, lessicografo); altro che "peccato veniale" dire "la Boldrini"! (p. 102). A dir poco "artificioso" (p. 21) risulta invece l'accordo al femminile in (v). E iper-logicistico, se non surreale, il suggerimento in (vii) "la professora". La teoria sessista rischia insomma di essere anche "prescrittivista" promuovendo "regole regolanti". Pericolo da cui il Presidente della Crusca, C. Marazzini, mette peraltro in guardia (pp. 17-18): "vietato vietare" (p. 122). Il sessismo linguistico, imponendo l'uso di forme femminili indicanti (presuntivamente) il sesso, ignora insomma il principio della "onnipotenza semantica", grazie a cui il nativofono può dar sempre forma ai propri pensieri, quali che essi siano.
* Docente di linguistica generale presso l'Università di Catania


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