venerdì 21 ottobre 2016

Essere una pecora segnata...


 ... vale a dire il bersaglio di tutti, la persona cui vengono imputate tutte le mancanze, anche se commesse da altri. Essere, insomma, una vittima predestinata, indipendentemente dal proprio comportamento. Il modo di dire - che ha sempre una valenza negativa - è particolarmente adoperato nel gergo della malavita con il significato di “sorvegliato”, “schedato” dalle forze dell’ordine. L’origine dell’espressione è quanto mai chiarissima: un tempo  le pecore venivano “marchiate” (segnate) per identificarne l’appartenenza a un gregge e, quindi, a un proprietario. Oggi si preferisce tingerne un ciuffo di lana con un colore indelebile. Di  qui, per l’appunto, l’uso figurato.
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Gentile dott. Raso, 
 sto leggendo il suo libro "Un tesoro di lingua" che ho scaricato dalla rete: superlativo! Sto imparando molte cose che credevo di sapere... Vi ho riscontrato, però, un piccolo "neo" (per ora, per lo meno) nella sezione del lessico (defatigante e defaticante): lei scrive che i verbi "defatigare" e "defaticare" hanno significati distinti. Il primo sta per "stancare", il secondo per "togliere la stanchezza, la fatica". Incuriosito, perché nelle cronache sportive ho sempre letto defatigare e mai defaticare nell'accezione da lei segnalata, ho consultato il vocabolario Treccani in rete e, con mia sorpresa, ho letto che "defaticare" è variante non comune di defatigare. I due verbi, insomma, sarebbero sinonimi. Data l'autorevolezza del Treccani...  Come si "discolpa"?
Con viva cordialità.
Tiberio G.
Lecce
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Caro amico, non devo discolparmi di nulla. Come ho scritto nel libro i due verbi hanno origini diverse e, quindi, significati diversi. Il fatto che il Treccani "dissenta" non vuol dire nulla. Defaticare, comunque, non è a lemma in tutti i vocabolari (alcuni cadono nello stesso "errore" del Treccani). Lo registrano, con l'accezione da me riportata, il Sandron, il Devoto-Oli e il Gabrielli (clicchi su defatigare e defaticare). 
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Ai tempi, ormai lontani, della scuola ci hanno insegnato (e, forse, insegnano ancora) una grande baggianata: l’aggettivo gratuito si deve pronunciare “perentoriamente” con l’accento sulla “ú” (gratúito). No, amici, questo aggettivo ha due pronunce: gratúito e gratuíto. La piú comune, però, è la prima: gratúito. Non lo sostiene l’estensore di queste noterelle, lo sostengono i sacri testi.
Sabatini Coletti: gratuito [gra-tùi-to, meno freq. …-tu-ì-…] agg.
Gabrielli: gratuito  [gra-tù-i-to] raro, poet. [gra-tu-ì-to]
Dop (Dizionario di Ortografia e di Pronunzia):

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Due parole due sull’uso corretto di qualunque perché non sempre è adoperato... correttamente. Qualunque, dunque, è un aggettivo indefinito di quantità  e significa l’uno o l’altro che sia. È invariabile e non si può adoperare in funzione di pronome (il pronome corrispondente è chiunque). Essendo invariabile non ha plurale;  non è “ortodosso”, quindi, scrivere o dire, per esempio: non mi convincerete mai, qualunque siano le vostre motivazioni. Un verbo di numero plurale (siano) non può riferirsi a un singolare (qualunque). In casi del genere si sostituisca qualunque con quali che (siano le motivazioni). Alcuni vocabolari ammettono, sia pure raramente, l’uso al plurale, in questo caso, però, sempre posposto al sostantivo. Un’ultima annotazione. Qualunque si può adoperare anche in funzione di aggettivo relativo unendo due proposizioni e il verbo che segue va al congiuntivo (popolare l’uso dell’indicativo). In quest’ultimo caso è grave errore farlo seguire dal pronome “che” (essendo insito in qualunque). Non, quindi: voglio sapere qualunque cosa che voi facciate, ma, correttamente, “qualunque cosa facciate”.

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Cortese sig.  Raso,
qualche giorno fa, rassettando la cantina, ho trovato dentro uno scatolone un vecchio libro, forse di mio nonno, incuriosito l’ho sfogliato e sono stato colpito da un passaggio in cui l’autore scriveva: “Io bollisco sempre l’acqua prima di berla”. È corretto quel “bollisco”? Forse il verbo, “anticamente”, si coniugava come “finire”?
Grazie e cordiali saluti
Giovanni S.
Orvieto
PS.: meraviglioso il suo libro.
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Gentile Giovanni, sí, il verbo bollire nei tempi andati accettava le diverse forme in -isc- o senza (fa parte della schiera dei verbi cosí detti sovrabbondanti, con più forme per una stessa funzione), anzi la forma incoativa era preferibile per non confondersi con alcune voci del verbo "bollare"; ma adesso le moderne grammatiche consigliano solo l'alternativa senza l’infisso  "-isc-". Va tenuta presente, poi, la distanza tra le grammatiche e l'uso. Certo, oggi, nessuno direbbe piú che l’acqua “bollisce”, però...

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Lettera aperta all'Accademia della Crusca, che scrive:

Segnaliamo in questa pagina i volumi ricevuti in omaggio dagli editori di opere di interesse linguistico che hanno aderito alla nostra iniziativa, promossa nel 2003, volta a sensibilizzare gli editori stessi verso la fruizione pubblica delle opere.


Non sarebbe meglio sostituire quel "che" (che hanno aderito) con "i quali"? Di primo acchito sembra che siano le opere che hanno aderito all'iniziativa. E a proposito di "aderire" , non sarebbe meglio sostituirlo con il verbo "accogliere" (o "accettare")?: i quali hanno accolto la nostra iniziativa. Aderire non significa "attaccare" e simili? Sí, aderire qui è adoperato con uso figurato, però...

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