giovedì 23 giugno 2016

La fattura e la stregoneria

Continuiamo il nostro viaggio attraverso la sterminata foresta del vocabolario alla ricerca di parole omofone (parole che hanno la medesima grafia e il medesimo suono) ma di significato diverso di cui la nostra lingua è molto ricca. Facciamo tappa al termine fattura, parola omofona, appunto, ma con diversi significati.
Quello più comune è noto a tutti; se non altro basta aprire un qualsivoglia vocabolario e leggere: «l’atto e l’effetto del fare; l’opera di artigiani in genere e lista nella quale è annotato l’importo delle spese occorse per compiere un lavoro e quello richiesto, da chi l’ha eseguito, per la sua prestazione».
Ma fattura vale anche stregoneria, malia. C’è fattura e… fattura, quindi. Questa stessa parola, dunque, come può contenere significati così diversi tra loro? La diversità è solo apparente in quanto la matrice è unica: il latino factura, tratto da factus, participio passato di facere (fare). A questo punto possiamo dire che la fattura, propriamente, è l’azione del fare.
Un sarto, per esempio, quando fattura un abito non compie l’azione del fare (un vestito)? Quindi lo… fattura. La medesima cosa vale per la fattura commerciale. Colui che compila la lista del lavoro svolto con il relativo costo non fa altro che compiere l’azione del fare… la lista. Bene. La medesima cosa fa colui che compie una stregoneria.
In origine, però, la fattura non valeva stregoneria come la intendiamo oggi, bensì fare sacrifici agli dèi, attendere alle cose sacre. E in latino si diceva, infatti, facere rem sacram, fare una cosa sacra, vale a dire compiere l’azione del fare una cosa sacra operando con la mano. Di qui il significato estensivo di compiere l’azione del fare filtri, incantesimi e via dicendo. Da questa azione è nato il verbo denominale fatturare con i relativi significati: annotare in fattura le vendite effettuate; compiere un incantesimo; affatturare e manipolare; adulterare; sofisticare; alterare una sostanza mescolandovi materie estranee.
A questo proposito occorre notare, però, che non sempre adulterare e fatturare sono sinonimi l’uno dell’altro, vale a dire che non necessariamente fatturare ha un valore negativo come il cugino adulterare. E spiega benissimo questo concetto G. Cusmano nel suo Dizionario metodico-alfabetico di viticoltura ed enologia. Vediamo.
«Un vino può essere adulterato, e può essere fatturato. Si adultera un vino aggiungendogli sostanze nocive alla salute, come acido solforico, fucsina (un colorante, ndr) ecc.; si fattura unendogli sostanze innocue alla salute, come alcol, zucchero».
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La parola che proponiamo, non attestata in quasi tutti i vocabolari dell'uso, è: nittazione. Sostantivo deverbale femminile che vale "ammiccamento", "strizzata d'occhi". È tratto dal latino "nictatione(m)", dal verbo "nictare" (battere le palpebre; in senso figurato ammiccare, strizzare l'occhio).  

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Molto migliore...
È giunto il momento di sfatare una regola - inculcataci ai tempi della scuola - secondo la quale non è corretto adoperare molto davanti ai comparativi maggiore, migliore, minore e simili. È una regola del tutto arbitraria e, quindi, da non seguire.

Molto davanti ai comparativi assume valore avverbiale con il significato di grandemente, in grande misura. Si può benissimo dire, per esempio, il tuo libro è molto migliore del mio, vale a dire è in grande misura meglio del mio.

Una prova del nove? Si può dire quel libro è molto più grande? Sì. Più grande non è un comparativo che equivale a maggiore? Si attendono smentite
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