domenica 31 maggio 2015

Battere la borra...

...vale a dire battere i denti per il freddo. Ancora un modo di dire desueto la cui origine l'apprendiamo dal Minucci, uno dei notisti al "Malmantile racquistato" (un poema burlesco, come abbiamo visto altre volte). La borra, dunque, è una sorta di lana triturata che serve per riempire i basti delle bestie da soma e che viene battuta, per liberarla dalla polvere, con corde adatte a questo scopo. La locuzione in oggetto è, dunque, un traslato derivato, per l'appunto, dalla battitura della borra. Battere la borra... battere i denti. Si veda anche questo collegamento.

***

La parola proposta da questo portale e a lemma  non in tutti i vocabolari: direpzione. Sostantivo femminile che vale "rapina", "ruberia" e simili.

sabato 30 maggio 2015

L'incamiciata

La parola proposta da questo portale: incamiciata. Sostantivo femminile. Nel linguaggio militare si chiama cosí un assalto di sorpresa eseguito di notte. Dal Tommaseo-Bellini: Scelta di soldati per sorprendere, o uscire addosso al nemico di notte all'improvviso, detta così perchè, affine di riconoscersi nel bujo, metteansi una camicia, o sim., sopra l'arme. Varch. Stor. 11. 371. (C) Deliberato tra se stesso di fare un'altra incamiciata, e assaltare il campo. [Camp.] Zibal. maritt. mil. Incamiciate sono le uscite che si fanno la notte, nelle quali i soldati prendono alcun segno insolito, e si cuoprono di bianco o d'altro colore.

venerdì 29 maggio 2015

Mettere i tappeti

«Giovanni, guarda tua moglie, ha messo i tappeti». «Che cosa vuoi dire? Michele, non capisco». «Voglio dire che tua moglie, per la timidezza, è arrossita». Questa locuzione, "mettere i tappeti", che significa arrossire per la vergogna o per altri motivi, è stata relegata nella soffitta della lingua. La "rispolveriamo" perché ci sembra interessante la sua origine e vorremmo che tornasse di moda nei "salotti linguistici". Vediamo, dunque, come Ludovico Passarini - un maestro dei modi di dire - spiega l'origine dell'espressione. «È frase popolare graziosissima presa dall'uso antico di mettere fuori dei balconi i tappeti rossi in occasione di feste religiose, e quando si faceva la corsa del palio, come nel seguente esempio del Fagiuoli: "(...) il povero Orazio, innamorato dell'Isabella, al solo sentirla nominare, s'era fatto rosso, e la furbacchiotta di Lena lo canzona (...). Aveva poi cercato di dar nell'umore a coloro, a' quali non piacciono le Cicalate, se non odono in essere tagliare il giubbone al terzo o al quarto... mio danno se non gli aveva serviti dall'amico, perché aveva preso di mira cinque o sei e rivedeva loro le bucce, e lavava loro il capo sudicissimamente senza ranno e senza sapone, e senza risparmiargliene, gliele tirava giú alla peggio in modo tale, che non avriano potuto far di meno di non mettere i tappeti (cioè di non vergognarsene quelli)"».


***

La parola proposta da questo portale: reclinatorio. Sostantivo maschile. Indica il luogo in cui si riposa e il riposo stesso.
Dal Tommaseo-Bellini: S. m. Riposo. Luogo dove si riposa. [Cerq.] Med. S. Bonav. Ebbe per reclinatorio questo venerabile petto. = Med. Vit. Crist. 184. (C) O Iddio benignissimo, come permettete voi, che questa vostra Madre, fra tutte l'altre del mondo per voi eletta e cara, specchio del mondo e vostro reclinatorio, sia così tribulata?

giovedì 28 maggio 2015

Il plurale di "plurilingue"


Alcune considerazioni riguardo a un quesito posto da una professoressa a "La posta del professore" del sito della Zanichelli.

Nelle nostre modeste "riflessioni linguistiche" abbiamo sempre sostenuto che la scuola di oggi è affidata, purtroppo, a docenti non sempre degni di tale nome e il quesito dell'insegnante è la "prova provata" (confermata dagli scritti dei giornalisti sfornati dalla scuola odierna) della nostra amara constatazione. Quest'insegnante non sa nemmeno consultare i vocabolari, altrimenti non sarebbe ricorsa all'esperto della Zanichelli. Questa docente, dunque, sostiene che "plurilingui" è termine scorretto e chiede lumi al professore della Zanichelli il quale le risponde portando come esempio il plurale di "bilingue" perché "plurilingue" è costruito sulla falsariga di bilingue il cui plurale è "bilingui". Quindi: un libro plurilingue, due libri plurilingui. Ciò che ci sorprende è il fatto che lo Zingarelli 2015 - come si legge nella risposta del professore - ammetta, al contrario dei vocabolari citati dalla professoressa, l'invariabilità di bilingue. Il De Mauro in rete, ahinoi, ci lascia scioccati: plurilingue è invariabile. Il DOP, Dizionario di Ortografia e di Pronunzia è categorico: bilingui e plurilingui.

***

La parola proposta da questo portale: lanista. Sostantivo maschile che non indica - come sembrerebbe "ad orecchiam" - il lavoratore di un lanificio, ma un insegnante di lotta e di scherma.

***
 
"La partita della Liguria, il PD serra le fila". Questa mostruosità linguistica (le fila) faceva bella mostra di sé in un titolo della trasmissione odierna "L'aria che tira" dell'emittente televisiva La7. Si dice "serrare le file". Sarebbe bene che i redattori dell'emittente dessero un'occhiata a questo collegamento.

martedì 26 maggio 2015

Di riffa o di raffa

Prima di occuparci dell'origine della locuzione in oggetto, richiestaci da numerosi blogghisti e che, come si sa, significa "in un modo o nell'altro", "a tutti i costi", due parole sulla riffa. Il termine, dunque, è noto a tutti, se non altro basta aprire un qualsivoglia vocabolario e leggere: lotteria privata avente per premio un oggetto di valore. Ciò che invece, forse, non è nota a tutti è l'origine del vocabolo che non è italiano ma spagnolo: "rifa" (lotteria), divenuto "riffa" (in italiano). A questo proposito non dobbiamo dimenticare che il nostro Paese, nel corso dei secoli, è stato terra di conquista di molti popoli, tra i quali gli Spagnoli, appunto; è normale, per tanto, che il nostro idioma abbia risentito dell'influenza iberica. Per quanto attiene all'espressione "di riffa o di raffa" occorre sapere che il termine riffa oltre al significato di lotteria ha anche un'altra accezione: prepotenza. L'origine, in questo caso, non è molto chiara. Alcuni fanno derivare il vocabolo dalla voce napoletana riffa nel senso di "baruffa", "contesa"; altri, invece, da una voce toscana che significherebbe "prepotenza". "Raffa" non è spagnoleggiante, viene dall'antico verbo "raffare" (aferesi di arraffare), vale a dire "afferrare", "strappare con violenza". Di riffa o di raffa: in un modo o nell'altro, sempre con prepotenza, quindi. Da notare che secondo alcuni insigni autori il vocabolo "raffa" non avrebbe di per sé alcun significato e sarebbe stato creato espressamente per la predetta locuzione. Ma tant'è. Ognuno ha le sue idee.

domenica 24 maggio 2015

"La" sosia?

Il vocabolario Treccani in rete al lemma sosia scrive: «sòṡia s. m. e f. [dal lat. Sosia, nome del servo di Anfitrione nella commedia Amphitruo di Plauto (e quindi dell’Amphitryon di Molière); di lui Mercurio prende l’aspetto, generando equivoci e scene comiche], invar. – Persona somigliantissima a un’altra, tanto da poter essere scambiata per questa: è proprio il suo s.; l’ho vista bene: a meno che non abbia una s., era proprio lei». Bene. Anzi male. Perché male? Perché come recita lo stesso vocabolario il sostantivo in questione è invariabile e in quanto tale deve restare invariato anche l'articolo: Maria è "il" sosia di Susanna. L'esempio del Treccani, quindi, là dove recita «l’ho vista bene: a meno che non abbia una s., era proprio lei», non è corretto perché c'è l'articolo indeterminativo femminile "una". Stupisce il constatare che anche il DOP cada nello stesso errore.

sabato 23 maggio 2015

Il cosmopolíta e l'agrofilàce

La parola proposta da "unaparolaalgiorno.it": cosmopolita. L'accezione del termine è nota: si potrebbe dire che significa "cittadino del mondo". È "sconosciuta" , invece, l'ortoepia, vale a dire la sua corretta pronuncia. Il vocabolo, dunque, ha l'accentazione piana: cosmopolíta. L'accento tonico, cioè, deve cadere sulla penultima sillaba (- lí -). E quella segnalata da questo portale: agrofilàce. Sostantivo maschile che vale "guardiano dei campi", "guardia campestre".

giovedì 21 maggio 2015

Metterci una croce sopra

Chi adopera, ovviamente in senso figurato, il modo di dire in oggetto? Colui che considera chiuso un argomento e non vuole (o non può) tornarci piú sopra. Questa locuzione, dunque, è nota a tutti. Pochi però, forse, sanno che l'espressione è presa in prestito dai registri contabili. Un tempo - sui registri della contabilità - le partite e i crediti non esigibili venivano segnati con una... croce a margine. Da registrare anche l'ipotesi che fanno alcuni autori secondo i quali l'espressione richiama il segno della croce che fanno i sacerdoti quando danno l'estremo saluto a un defunto. Di significato affine e di origine intuitiva la locuzione "metterci una pietra sopra": fa pensare, naturalmente, a una pietra con la quale si chiude definitivamente un sepolcro.


***
Da "Domande e risposte" del sito Treccani:

È possibile scrivere l'avverbio "su" con l'accento? Esempio: “il caffè mi tira sù”; “vado sù” (al piano di sopra).

Non è corretto. Non c'è bisogno di distinguere su avverbio (come negli esempi presentati) da su preposizione (conto su di te, Alonso su Ferrari) facendo ricorso a un'accentazione differenziale, in quanto il contesto elimina ogni dubbio.
---------

Dissentiamo recisamente sull'apodittica risposta degli esperti della Treccani ("non è corretto"). Il "su", in funzione avverbiale, "si può" anche accentare e chi segna l'accento non commette alcun errore. Si veda, in proposito, il DOP. Lo stesso vocabolario Treccani contraddice i suoi esperti là dove si legge:
«2. avv. A differenza di su in funzione prepositiva, che è di solito atono perché in posizione proclitica, l’avv. su è pronunciato con accento vibrato, tanto che da taluni viene scritto con l’accento, , anche per distinguerlo dalla prep., soprattutto in casi in cui la posizione della parola può lasciare incerti sulla sua precisa funzione (per es., nella frase: hai messo su la pentola?)».

mercoledì 20 maggio 2015

La mereofilia

La parola proposta da "unaparolaalgiono.it": mereofilia. E quella segnalata da questo portale: vaquatto. Sostantivo maschile che sta per "ipocrita", "soppiattone", come si può leggere nel Tommaseo-Bellini: «S. m. [Fanf.] Soppiattone, Ipocrita; quasi dica che va quatto quatto. Panciat. Cical. 22.».

martedì 19 maggio 2015

Psicologhi o psicologi?

Ci dispiace immensamente di dover parlare sempre "male" di alcuni vocabolari (tra questi anche quelli cosí detti prestigiosi), anche perché conosciamo benissimo la "fatica" che comporta la loro compilazione. Ma sappiamo altrettanto bene che i "fruitori" hanno bisogno di notizie chiare, precise e non debbono essere "ingannati" da certi dizionari che riportano i famosi "ma anche" o "o"... come nel caso del plurale dei nomi in "-logo": psicologi o psicologhi. Come dicevamo alcuni vocabolari ammettono entrambe le forme: -gi e -ghi. L'estensore di queste noterelle non è assolutamente d'accordo, una regola ci sarebbe e andrebbe rispettata. Per non aggiungere confusione a confusione, tralasciamo i sostantivi in "-logo" e occupiamoci di quelli in "-co" e in "-go" (tra questi ultimi sono compresi anche quelli in "-logo"). Vediamo, dunque. Se i predetti sostantivi hanno l'accentazione sulla terzultima sillaba (accento che si "legge" ma non si segna), ossia se sono parole sdrucciole, faranno il plurale in "-ci" e in "-gi": canonico, canonici; astrologo, astrologi; psicologo, psicologi. Se, invece, sono parole piane, se hanno, cioè, l'accento sulla penultima sillaba, faranno il plurale in "-chi" e in "-ghi": buco, buchi; mago, maghi. Non mancano, naturalmente, delle eccezioni a questa "regola", basti pensare ad amico che, pur essendo una parola piana, fa il plurale amici e non amichi; oppure a valico che fa valichi e non valici. Abbiamo voluto mettere in evidenza la possibilità di una "regola", che nella maggior parte dei casi può "funzionare". I vocabolari dovrebbero essere tutti concordi, quindi; rispettando questa "regola" darebbero alla lingua quella "omogeneità" di cui abbisogna. In casi di dubbi, amici, consultate piú vocabolari: se tre su quattro sono concordi sarete sicuri di non incorrere in madornali errori.

lunedì 18 maggio 2015

Andare a bastonare i pesci

Il padre di Luigino, delinquente incallito, era stato condannato - per l'ennesima volta - a sei mesi di carcere a causa della sua turpe "professione". Il piccolo Luigi era disperato, domandava sempre del padre, aveva nostalgia delle favole che il genitore gli narrava, la sera, per farlo addormentare. Un giorno, la madre, di fronte alle insistenze del piccolo che voleva notizie del padre e non potendo, ella, dirgli la verità lo rassicurò con una frase che lo fece sorridere: «Stai tranquillo, bambino mio, il tuo papà è andato a "bastonare i pesci" cattivi; ma sono tanti, ci vuole tempo per "punirli" tutti; sii sereno, però, non appena avrà finito correrà ta te». Il piccolo, orgoglioso del mestiere del padre, che "puniva i pesci cattivi", si addormentò felice. Il mattino successivo, tutto impettito, non poté fare a meno di rendere partecipi della sua felicità i compagni d'asilo e la maestra. Questa, incuriosita dallo strano mestiere del padre del piccino, fece una ricerca e scoprí, cosí, che "bastonare i pesci" significa essere in carcere. La locuzione, infatti, si adoperava qualche secolo fa - oggi, forse, è in disuso - quando i delinquenti erano condannati a remare sulle galee e con i remi prendevano, per cosí dire, a bastonate i pesci.

***

La parola proposta da questo portale: biante. Aggettivo e sostantivo maschile. Si dice di un vagabondo che cerca di raccogliere del denaro con qualsiasi mezzo.

domenica 17 maggio 2015

"Beqquadro" è grafia corretta?

Cortese dott. Raso,
 eccomi di nuovo ad approfittare della sua competenza e non comune cortesia per un altro quesito. È corretta la grafia "beqquadro" in luogo di "bequadro" con una sola "q"? Sull'argomento i vocabolari sono discordi...
Grazie in anticipo e un cordiale saluto.
 Severino A.
 Rovigo
----------
Gentile Severino, lo stesso quesito mi fu posto, qualche anno fa, da un blogghista. Veda qui.

***

È mai possibile che la prestigiosa e autorevole "Treccani" possa "propinare" simili strafalcioni? Guardate cosa si legge al lemma "fra" (frate): «fra2 (meno com. fra’ o frà) s. m. (radd. sint.). – Troncamento di frate come appellativo o vocativo davanti a nome proprio, sia che questo cominci per consonante (es. fra Galdino, ant. frate Galdino), sia che cominci per vocale (es. fra Angelico; ma anche, e meglio, frate Angelico)». Fra' e frà, è bene precisarlo subito, non sono forme meno comuni, ma errate. Fa bella compagnia al vocabolario Treccani quello del Sabatini Coletti in rete.

sabato 16 maggio 2015

Amicale




La parola del giorno proposta da "Unaparolaalgiorno.it": amicale.
E quella suggerita da questo portale: arfasatto (goffo, scimunito).

***

Dal "Tgr Lazio" delle 14.00 di oggi:
«... L'uomo ha riportato una prognosi di 15 giorni...».
Siamo sobbalzati sulla poltrona: da quando la "prognosi" è una malattia o un trauma? La prognosi è, come si può leggere in un qualsivoglia vocabolario, "la previsione circa il decorso e l'esito di una malattia o di un trauma". La prognosi, quindi, "si fa", non "si riporta". Qualche anima buona regali un dizionario d'italiano ai redattori del telegiornale RAI del Lazio.

venerdì 15 maggio 2015

Il risquitto

Ancora un altro termine della nostra bella e musicale lingua relegato nella soffitta: risquitto. Il vocabolo, sostantivo maschile, sta per "sollievo", "riposo" e simili. Sarebbe bello se i vocabolaristi lo rispolverassero e lo rimettessero a lemma nei dizionari. Dal "Tommaseo-Bellini":
S. m. Riposo, Sollievo, Rispitto (V.). Rammenta Requies; come se la S sia preposta per metatesi. Requietio Jovinian, in S. Girol. – Lib. Mot. (C) Gli fece dire, che pensasse dell'anima; il Conte giucava, quando il messo gliele disse, e non lasciò però il giucare, e disse, che un dì di risquitto bastava assai. Serd. Stor. 7. 260. Rintuzzarono intanto la ferocia del tiranno, ed ebbero un poco di risquitto per alcuni mesi a potersi provvedere delle vettovaglie. Ciriff. Calv. 2. 60. Allor Ciriffo senza alcun risquitto…, Forte spronando mise un grande strido. Varch. Stor. 7. 226. L'intenzion sua era di voler dare oggimai alcuna requia, o risquitto alla misera, e tanto tempo in tanti modi afflitta, e tormentata Italia. Tac. Dav. Stor. 1. 46. Fu chiesto che a' centurioni si levasse la rigaglia, già diventata tributo, di farsi pagare da soldatelli privati i risquitti delle fatiche (il testo lat. ha: vacationes). [Laz.] E ann. 1. 17. Ell'è pur tribolata e scarsa questa nostr'arte! dieci assi il giorno ci vale anima e corpo! con questi abbiamo a comperar vitto, vestito, armi, tende, misericordia da' centurioni, e un po' di risquitto. E 3. 37. Piaceva più vederlo (Druso) spendere il giorno in ispettacoli, la notte in cene, che rinchiuso fantasticare di cose rematiche e odiose, che Tiberio e le spie gli porgevano tutto dì senza veruno sollazzo o risquitto. = Dep. Decam. 87. (C) Noi andavam pensando se questa voce per avventura potesse esser quel risquitto, che ancora le nostre donne ne hanno in bocca, che spesso dicono: prendersi alquanto di risquitto. Buon. Fier. 2. 1. 6. Ognun talor dêe avere i suoi resquitti. E 4. 5. 1. E non vi caglia de' nostri resquitti.Salvin. Annot. ivi: Resquitto e risquitto è dal latino respectus, siccome despitto dal latino despectus. Vale una certa cura e guardia che viene a farsi da se medesimo appresso il travaglio e la fatica. Così quando i soldati pigliavano rinfresco e ristoro, i Latini dicevano curare corpora, prender resquitto.
Si veda anche qui.

***
Due parole sull'uso corretto di "incognito", che si costruisce senza la preposizione "in" (non in incognito, quindi). Il cantante è giunto a Roma incognito. L’aggettivo, infatti, viene dal latino incognitus composto con la preposizione negativa in e il participio passato del verbo cognoscere. La preposizione "in" è già "dentro" la parola, anzi all'inizio. Attendiamo, in proposito, gli strali di qualche linguista "d'assalto" nel caso s'imbattesse in questo sito.

 

 

 

giovedì 14 maggio 2015

Il bestiame e il denaro

Nelle nostre modeste noterelle abbiamo sempre scritto che se c'è una scienza interessantissima questa è l'etimologia, vale a dire la scienza che ha per oggetto lo studio dell'origine delle parole di una lingua. Questa branca della linguistica ci permette di scoprire cose... inaspettate. Chi avrebbe mai immaginato, infatti, che l'aggettivo pecuniario in origine non aveva nulla che vedere con il denaro? Per saperne di piú diamo la parola a Lodovico Griffa.

(Pecuniario) è aggettivo di origine dotta e deriva dal latino "pecunia" (denaro) che non è passato direttamente nella lingua italiana. A sua volta il termine latino deriva da "pecus" (bestiame). Evidentemente per i nostri antichissimi antenati, dediti alla pastorizia in territori non ancora ben divisi e dai confini incerti, la ricchezza consisteva nel numero di capi di bestiame che la famiglia possedeva e da cui ricavava sostentamento e qualche possibilità di scambio con altri. Il bestiame, insomma, sostituiva il denaro. In tempi di piú avanzata civiltà, quando già da secoli correva sui mercati come denaro il metallo coniato, il termine "pecunia", non avendo piú riferimento con la realtà concreta, fu soppiantato nella parlata popolare da "solidus" (da cui "soldus" e poi 'soldo') e da "denarius", che indicavano due monete (il "nummus aureus" e il "denarius") correnti ai tempi dell'impero, visibili e toccabili, anche se spesso non possedute da tutti. Cosí "pecunia" rimase nel latino letterario e scritto e morí con esso, mentre "soldus" e "denarius" passarono nel volgare (l'italiano). Si possono sentire talvolta in italiano frasi come "ho poca pecunia", "occorre molta pecunia" e simili. Sono frasi di gergo dotto, cioè usate nella cerchia di persone sulla cui parlata influiscono i ricordi di scuola. Nel gergo udremo invece: "Ho poca grana; "occorre molta grana". L'italiano medio, non dotto e non gergale, suona invece "ho poco denaro".

Quanto alla voce gergale "grana" (per denaro), secondo il vocabolario Treccani, il termine deriverebbe dal nome di una antica moneta napoletana e siciliana.

***
La parola proposta da questo portale: lautetrico.  È un aggettivo (del linguaggio ecclesiastico) tratto da "latria" e indica il culto riservato esclusivamente a Dio.

 

 

mercoledì 13 maggio 2015

Un buon candiero

Si avvicina l'estate e che c'è di meglio di un buon candiero gelato? Forse nessuno dei nostri venticinque lettori conosce questo termine perché non attestato nei vocabolari. Si tratta di una bevanda a base di zucchero, latte e uova. E se i vocabolaristi lo rimettessero a lemma?

martedì 12 maggio 2015

Essere e avere: quale adoperare?

Gentilissimo dott. Raso,
 la ringrazio di cuore per la risposta circa il significato del termine "attoso". Approfitto della sua competenza e cortesia per un altro quesito. I verbi ausiliari "essere" e "avere" - lo sappiamo - si adoperano per la formazione dei tempi composti; spesso, però, sono in dubbio su quale ausiliare adoperare. C'è una regola in proposito? Grazie e cordialità.
 Severino A.
Rovigo

----------

Caro amico, non è possibile (oltretutto non esiste) dare una regola precisa circa l'uso dei due ausiliari; un buon vocabolario è indispensabile. Possiamo dire, in linea di massima, che l'ausiliare essere si adopera con i verbi impersonali, con i verbi riflessivi e per la forma passiva dei verbi transitivi. Avere, invece, si usa per la formazione dei tempi composti di tutti i verbi transitivi, di quelli intransitivi che indicano un movimento o moto fine a sé stesso (ho corso, ho volato) o esprimono un'attività dello spirito e del corpo (ho pensato, ho dormito). Da notare, ancora, che spesso l'uso dell'uno o dell'altro ausiliare fa cambiare il significato del verbo "principale": ho mancato (ho commesso una colpa); sono mancato (non ero presente).

Guardi anche ciò che dice, in proposito, l'Accademia della Crusca.

lunedì 11 maggio 2015

Toujours perdrix! (Sempre pernici!)

I lettori che ci onorano della fiducia e ci seguono con assiduità ci perdoneranno - siamo sicuri - se in un sito che si occupa del corretto uso della lingua italiana tratteremo una locuzione barbara (nella fattispecie francese). Come! - griderà qualcuno - costui ha sempre lanciato anatemi contro coloro che usano i barbarismi e adesso ce ne "propina" uno! Tranquilli, amici, non rinneghiamo le idee che abbiamo sempre professato: siamo e resteremo contro i barbarismi (che inquinano la lingua); questo, però, è particolare in quanto è entrato "di prepotenza" nel nostro idioma ed è adoperato a ogni piè sospinto con il significato di "sempre la stessa minestra" (questo sí, "italianissimo" e... conosciutissimo). Si adopera questo modo di dire, dunque, quando si vuol mettere in evidenza il fatto che "anche il meglio (di qualcosa), a lungo andare, viene a noia". La locuzione, per la verità, si usa soprattutto come rimprovero ironico nei confronti di colui che, pur vivendo agiatamente, trova sempre il modo di lamentarsi. Un aneddoto su Enrico IV di Francia spiega l'origine del modo di dire. Vediamo. Il confessore personale del sovrano rimproverava al re frequenti scappatelle extraconiugali. Quest'ultimo, stanco dei continui rimproveri, fece servire a tavola - per diversi giorni - sempre pernici finché al servo di Dio, ormai stanco del pur prelibato piatto, non scappò di bocca quel "toujours perdrix!" (sempre pernici!), al quale il sovrano replicò con un elegantissimo e malizioso "toujours reine" (e per me... "sempre regina").

***

La parola proposta da questo portale: attitare. Verbo del linguaggio giuridico che vale "procedere in giudizio". Non è attestato nei vocabolari dell'uso. Per maggiori "informazioni" si veda qui e qui.

domenica 10 maggio 2015

L'attoso

Pregiatissimo dott. Raso,
 sono un suo "fan" dai tempi dei tempi perché "scrutando" il suo sito c'è sempre da apprendere qualcosa in campo linguistico. Le scrivo perché leggendo un vecchio libro mi sono imbattuto in un termine che non avevo mai sentito; ho consultato tutti i vocabolari in mio possesso (anche quelli in rete) e non ho trovato traccia. Il vocabolo in questione è "attoso". Le riporto la frase con il termine "incriminato": «... quando sarai al cospetto del barone non comportarti in modo attoso...». Può dirmi cosa significa, esattamente?
 Grazie di cuore.
Un cordiale saluto.
 Severino A.
 Rovigo

----------

Gentile Severino, il vocabolo non è attestato nei vocabolari perché è stato relegato nella soffitta della lingua. Un tempo si adoperava per indicare una persona leziosa, dai modi bambineschi. Veda qui e qui.

sabato 9 maggio 2015

Il "se" e il condizionale

   Da "La posta del professore" del sito della Zanichelli:
Il ‘se’ + condizionale: approfondimento
Caro Professore,
  in riferimento alla discussione al link:  http://dizionaripiu.zanichelli.it/la-posta-del-professore/2012/05/11/il-se-condizionale-quando-e-possibile/ la seguente frase è grammaticalmente corretta? “Mi chiedevo se sareste disposti a supportarmi”.
Cordiali saluti, Fabio

  Caro Fabio,   certo che sì: la frase che lei cita Mi chiedevo se sareste disposti a supportarmi è analoga come costrutto alla frase Non so se sarei capace di mentire dello Zingarelli, che lei può leggere all’accezione 7 di se (2) nella pagina web da lei indicata.  Piuttosto sono personalmente poco incline all’uso di supportare nel significato di sostenere o aiutare: mi pare un anglismo che da un lato è inutile, appunto perché ci sono in italiano parole che ben esprimono lo stesso concetto, e dall’altro è insidioso perché supportare è anche variante di sopportare, che ha un significato ben diverso: e infatti un quotidiano italiano di New York un giorno titolò: “Arriva da Roma il nuovo Ambasciatore d’Italia: sopportiamolo!”.   Ma questo è un tema lessicale, non grammaticale ed esula da questa rubrica.
   Cari saluti dal  Professore
-----------------------
Questo quesito ci ha richiamato alla mente un nostro modesto articolo sul "se", che può essere tanto congiunzione quanto pronome. Lo riproponiamo per chi fosse interessato all'argomento.

giovedì 7 maggio 2015

Essere del gatto

Questa locuzione - probabilmente poco conosciuta - è di tradizione popolare. Ma che cosa sta a significare? Trovarsi in una situazione senza speranza, essere "intrappolati", in modo particolare trovarsi in cattive condizioni economiche, cadere in rovina e non avere nessuna possibilità d'uscita, come un topo caduto inesorabilmente tra le grinfie di un gatto. E a proposito di gatto, chi non conosce l'espressione "Fare come la gatta di Masino"? Chi si comporta, dunque, come la gatta di Masino? Tutti coloro che fanno finta di non accorgersi di nulla per non essere costretti a intervenire - per pigrizia, paura o altro - e prendere, quindi, gli eventuali provvedimenti. La locuzione è tratta da un racconto popolare - che si perde nella notte dei tempi - in cui si narra di una gatta di un contadino, tale Masino, la quale chiudeva gli occhi per non veder passare i topi.

***

Ancora un verbo relegato nella soffitta della lingua: taffiare. Chi taffia? Colui che banchetta lautamente e... smoderatamente.

mercoledì 6 maggio 2015

Te, soggetto o complemento?

Il titolare del sito "Antistupri grammaticali" scrive che «Questa sezione del blog (del suo sito) nasce con l’intento di contrastare l’ondata irrefrenabile di ignoranza grammaticale e sintattica che ha investito le nuove generazioni (e non solo), soprattutto grazie all’avvento dei social network come Facebook». Peccato che sia rimasto stuprato egli stesso perché afferma che «Il pronome personale “te” è usato solo come complemento e mai come soggetto. Quindi frasi come “lo hai detto te” o “pensaci te” sai dove TE le puoi ficcare?». Sorvoliamo sulla parte volgare e invitiamo l' «antistupratore» a non diffondere "notizie linguistiche false": il pronome personale te si può adoperare - in alcuni casi specifici - anche in funzione di soggetto.

martedì 5 maggio 2015

Il paúro

Chi ha paura del paúro? Non stiamo delirando, vogliamo dire che il sostantivo in oggetto, non attestato nei vocabolari dell'uso, indica un feroce assassino che si nasconde nei boschi. E chi lo dice? Non l'umile titolare di questo portale, ma un "grande", Niccolò Tommaseo.
«S. m. Si chiamarono Pauri in Toscana certi famosi assassini che si nascondevano ne' boschi delle Salajuole, ch'è luogo a dodici o quattordic' miglia da Firenze. (Fanf.) T. Come Paura, l'oggetto che fa paura; e come Figuro per Figura».

domenica 3 maggio 2015

La prefetta

Questa volta non possiamo non plaudire a "Sapere.it" (De Agostini) per il "coraggio" di avere specificato che il femminile di prefetto è regolarmente "prefetta".

prefetto n.m. [f. -a; pl.m. -i, f. -e] 1 funzionario, dipendente dal ministero dell’interno, che rappresenta il governo nell’ambito di una provincia; ha compiti di controllo sugli organi amministrativi locali, tutela l’ordine pubblico e sovrintende alla pubblica sicurezza: il prefetto di Pavia; un’ordinanza del prefetto 2 in Roma antica, titolo attribuito a funzionari che svolgevano mansioni diverse per delega di un magistrato 3 titolo che spetta ai cardinali preposti alle congregazioni e ad altri uffici della curia romana | prefetto apostolico, ecclesiastico che è a capo di una prefettura apostolica 4 istitutore in collegi, seminari e sim.

  ¶ Dal lat. praefectu(m) ‘sovrintendente, prefetto’, deriv. di praeficere ‘mettere a capo’, comp. di pra- ‘pre-’ e facere ‘fare’.

Nota d'uso
Il femminile regolare di prefetto è prefetta, e così si può chiamare una donna che eserciti il ruolo di prefetto. Alcuni preferiscono però chiamare anche una donna prefetto, al maschile. Si tratta di una scelta che non ha basi linguistiche, ma sociologiche, e che comunque può creare, nel discorso, qualche problema per le concordanze.

------
Le evidenziazioni sono del titolare del portale. Da aborrire "prefettessa", come spesso si sente dire con l'avallo, purtroppo, di qualche vocabolario.

sabato 2 maggio 2015

Alloppicare

Un altro vocabolo relegato nella soffitta della lingua e che ameremmo fosse rimesso a lemma nei vocabolari dell'uso, per l'esattezza il verbo alloppicare. Adoperato nella forma pronominale sta (stava) per "sonnecchiare", "dormicchiare", "appisolarsi" e simili. Giulio, al cinema, s'alloppica sempre.

venerdì 1 maggio 2015

InvernALE ma... estIVO. Perché?

Cortese dott. Raso,
 mi piacerebbe conoscere la ragione per la quale da inverno abbiamo "invernale"; da autunno "autunnale", da primavera "primaverile" ma da estate "estivo". Perché, insomma, quest'ultimo aggettivo non è composto con il suffisso "-ale" o "-ile"? Sarebbe scorretto, dunque, dire o scrivere "estatale" o "estatile"?
 Grazie se prenderà in considerazione la mia richiesta.
 Con i migliori saluti.
 Ivano P.
 Rieti
-----------
Gentile Ivano, il suo ragionamento è logico ma non rispecchia, però, la "realtà linguistica". Vediamo. Tanto "invernale" quanto "primaverile" provengono dai rispettivi sostantivi con l'aggiunta dei suffissi "-ale" e "-ile" (invernale, primaverile). I predetti suffissi specificano ciò "che riguarda", "che è proprio": invernale, che riguarda l'inverno; primaverile, che è proprio della primavera. Lo stesso discorso per "autunnale" che non proviene, però, dall'italiano autunno ma dal latino "autumnalis". Per quanto riguarda "estivo", infine, non discende dal sostantivo italiano estate ma dal latino "aestivus", da "aestus", «calore». Di qui, per l'appunto, estivo.


***

La parola proposta da questo portale: metania. Il termine, forse poco conosciuto perché non attestato nei dizionari dell'uso, indica un atto di prostrazione, un'espressione di pentimento, ravvedimento e simili.