venerdì 24 ottobre 2014

L'avverbio presentativo

Non crediamo di discostarci dalla verità se affermiamo che quasi nessun amico, che segue assiduamente questo portale, ha sentito parlare dell' «avverbio presentativo», anche se tutti lo adoperiamo inconsciamente, e il motivo è semplice: come abbiamo sempre sostenuto e denunciato molti "sacri testi" ignorano completamente il gergo linguistico. Chi scrive non è di questo parere: gli amanti della lingua devono essere in grado di districarsi nei vari meandri del nostro idioma, e l'avverbio presentativo è uno di questi. Vediamo, intanto, sia pure per sommi capi, cos'è l'avverbio. Come si può leggere in qualsivoglia libro di grammatica l'avverbio (dal latino "ad verbum) è quella parte invariabile del discorso che serve a modificare, graduare, specificare, determinare il significato di una frase ed è collocato, generalmente, vicino al verbo ("ad verbum", appunto) tanto è vero che secondo la teoria grammaticale dell'antichità la funzione primaria dell'avverbio sarebbe quella di completare e specificare il significato del verbo a cui si accompagna. Sarebbe, perché non sempre è cosí. Questo, infatti, può riferirsi a un verbo (non potevi far "meglio"); a un sostantivo (questo abito è "molto" anni Venti); a un aggettivo (il tuo volto ha un'espressione "quasi" diabolica); a un'intera frase o proposizione ("sinceramente" tutti credevamo di potere intervenire nel dibattito). A seconda della loro funzione gli avverbi si dividono in: qualificativi, modali, temporali ecc. Riteniamo superfluo fare qualche esempio in proposito. Chi non sa, infatti, che "ieri" e "oggi" sono avverbi di tempo? In questa sede ci preme parlare - come dicevamo all'inizio di queste noterelle - dell'avverbio presentativo, che è uno solo: ecco. Questo avverbio si adopera, infatti, per mostrare, indicare, annunciare, "presentare" (donde il nome) un determinato evento con un notevole rilievo enfatico: eccolo! Ha la caratteristica di collegarsi con i pronomi atoni "mi", "ti", "ci", "vi", "lo" e "la"; concorre alla formazione del cosí detto dativo etico. Affine al complemento di termine, questo dativo esprime solo in senso figurato la persona sulla quale termina l'azione ed è rappresentato, generalmente, da un pronome atono: che "mi" fai?, vale a dire "cosa mai fai"? Ma vediamo - questo lo scopo della nostra "fatica" - alcuni usi corretti del su detto avverbio: a) preceduto dalla congiunzione copulativa sottolinea la subitanea apparizione di un personaggio e un avvenimento inaspettato: «Ed "ecco", quasi al cominciar de l'erta, / una lonza leggera...» (Dante); b) per rispondere, con funzione olofrastica, a un richiamo, a una esortazione: «Allora, ti decidi o no a parlare? - "Ecco, ecco (sí, sí, parlo subito)»; c) per mettere in evidenza un dato di fatto, molto spesso con intenzione ironica o polemica: «"Ecco", con il tuo modo di fare, il risultato che hai ottenuto!»; d) per introdurre o concludere, riassumendo, una spiegazione: «Sai cosa facciamo ora? - Cosa? - "Ecco": ti spiego come funziona questo apparecchio»; e) in posizione iniziale ("ecco") regge - molto frequentemente - una proposizione introdotta dalla congiunzione "che": «"Ecco" che ci ha seguiti anche il cane»; f) accompagnato da un participio passato presenta il compimento di un'azione, tipo "ecco fatto". Moltissimi, inoltre, gli usi fraseologici. 'Ecco' i piú frequenti: a) per manifestare una certa esitazione: «Io... "ecco" vorrei conferire se fosse possibile con il direttore»; b) per rafforzare un'affermazione: «È questo, "ecco", ciò che non sopporto del tuo carattere». Per concludere ci sembra interessante ricordare che l'avverbio presentativo italiano "ecco" non è altro che il latino "eccum", che sostituí nel tardo latino d'Italia il piú antico "ecce": «"Ecce" ancilla Domini».

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