lunedì 31 ottobre 2011

Keniota o keniano?




«Bombe keniote sulla Somalia». Questo titolo, che campeggiava sulla prima pagina del Corriere della Sera in rete, è corretto perché si può dire tanto “keniota” quanto “keniano”. Oggi, però, si usa fare un distinguo: keniota, in funzione di sostantivo; keniano, come aggettivo. La gara è stata vinta da un keniota; il keniano Pinco ha vinto la gara. Secondo questo distinguo, quindi – a nostro avviso – sarebbe stato meglio titolare: «Bombe keniane sulla Somalia».


PS.: Sarebbe meglio anche - sempre a nostro avviso - sostituire il "k" (lettera estranea alla corretta lingua italiana) con il digramma "ch": Cheniota e cheniano.

domenica 30 ottobre 2011

Diramare...





Ancora una diversità di vedute tra il vocabolario Gabrielli in rete e il Dizionario Linguistico Moderno dello stesso autore a proposito del verbo “diramare”. Ecco ciò che riporta il Gabrielli in rete: «diramare
[di-ra-mà-re]
(diràmo)
A v. tr.
1 non com. Spogliare dei rami: d. una pianta
‖ Dividere in rami

2 fig. Divulgare, diffondere: d. un ordine, una circolare, gli inviti

B v. intr. pronom. diramàrsi
1 non com. Dividersi in rami: il tronco dell'albero si diramava a tre metri dal suolo
‖ estens. Suddividersi: la strada si diramava formando un bivio; i nervi si diramano per tutto il corpo

2 fig. Derivare: varie conseguenze si diramano da questa premessa

3 fig. Divulgarsi, diffondersi: l'ordine si diramò tra i soldati».


Ecco ciò che si può leggere, invece, nel “Dizionario”:

«Verbo composto del prefisso “di-“ separativo, e di “ramo”, vale propriamente “troncare i rami”, “spogliar dei rami” una pianta; e poi derivato, nel riflessivo “distribuirsi in rami” (anche figurato, come di fiumi, di vene, di strade, ecc.) ed è sinonimo di “ramificarsi”. È quindi brutto neologismo proprio del gergo burocratico nel significato di “diffondere”, “distribuire”, “divulgare”, “propagare”, “spedire”, “mandare”, riferito specialmente a ordini, circolari, inviti e simili: “L’ordine diramato dal presidente”, sarà: “L’ordine ‘diffuso’ “ (non bene ‘emanato’, pur esso burocratico); “Bisogna subito diramare questa circolare; diremo ‘diffondere’, ‘divulgare’ (anche, semplicemente, ‘spedire’)».

sabato 29 ottobre 2011

Paventare...




Uso e abuso del verbo "paventare". Si veda questo collegamento:

http://www.accademiadellacrusca.it/faq/faq_risp.php?id=8775&ctg_id=44

venerdì 28 ottobre 2011

«Dare l'ultimo asciolvere"






Ieri, parlando dell'asciolvere, cioè della prima colazione, della merenda, abbiamo dimenticato di scrivere che questo vocabolo ha dato origine al modo di dire - relegato nella soffitta della lingua - "dare l'ultimo asciolvere", vale a dire "uccidere qualcuno" dandogli, in senso ironico e figurato, l'ultima colazione.



* * *
Segnaliamo alla Redazione del “Treccani” in rete un “orrore” che fa bella mostra di sé nella prima pagina del sito:
Quando l’allievo supera il maestro solo la critica riesce a sminuire le opere di un’artista celeberrimo. E’ il caso di Filippino Lippi, figlio di Filippo Lippi, ...
L’orrore, ovviamente, è l’articolo indeterminativo maschile singolare scritto con tanto di apostrofo.

giovedì 27 ottobre 2011

Un leggero asciolvere


«Vorrei un asciolvere molto leggero, per favore». Se qualcuno si rivolgesse con queste parole al personale di un albergo (o simili) non otterrebbe nulla in quanto l’interlocutore, con molta probabilità, cadrebbe – come suol dirsi – dalle nuvole. Eppure tutti, soprattutto la mattina, abbiamo bisogno di un asciolvere, leggero o pesante, secondo le varie esigenze. Ma cos’è questo “asciolvere”? Semplice: la prima colazione o la merenda. Questo termine, per la verità poco conosciuto, è pari pari il verbo “asciolvere” adoperato come infinito sostantivato. È composto con il verbo latino “absolvere” (sciogliere, sottinteso “ieiunia”, digiuno). Chi “scioglie il digiuno” cosa fa? Mangia, ovviamente.

mercoledì 26 ottobre 2011

Disertare si può tollerare, devastare no




Il verbo “disertare”, forse pochi lo sanno, ha due forme, una transitiva e una intransitiva e l’uso dell’una o dell’altra forma fa cambiare di significato il verbo stesso. La forma transitiva sta per “distruggere”, “guastare” e simili ed etimologicamente è il latino “desertare”, intensivo di “deserere” (‘abbandonare’). Originariamente, infatti, il verbo stava per “devastare”, vale a dire “ridurre in deserto” e, quindi... “abbandonare”, "allontanare" (non ci si allontana 'da' un luogo?). Di qui l’uso intransitivo di “disertare” nel senso di “fuggire da un luogo”. I deputati, per esempio, che non prendono parte alle sedute “disertano dall’aula”, non “disertano l’aula”, in quanto “fuggono dall’aula”, non la... devastano. Insomma, amici amanti del buon uso della lingua, come fa acutamente notare il linguista Leo Pestelli «facciamo una pasta dei verbi ‘disertare’ (neutro) e ‘disertare’ (attivo), che sono due cose ben distinte. Il primo vale: fuggire dall’esercito; il secondo: danneggiare e devastare. Il soldato diserta ‘dal’ reggimento abbandonandolo al suo destino; diserta ‘il’ reggimento portandogli via la cassa. (...) Dicendo dunque noi per estensione: il pubblico ‘diserta’ il teatro; gli alunni ‘disertano’ la scuola, diciamo altro da quello che intendiamo dire, cioè che il pubblico con mazze e ombrelli, gli alunni con gessi e temperini, danneggiano il teatro e la scuola. Proprio cosí (...)».
Naturalmente ci sarà il solito Bastian contrario che cercherà di confutare la nostra tesi. Se ciò avverrà, la cosa ci lascerà nella piú squallida indifferenza, forti dell’appoggio di un linguista con la “L” maiuscola. Mentre a coloro che sostengono la tesi secondo cui è l’uso che fa la lingua ricordiamo le parole del grande poeta toscano Giuseppe Giusti: “L’avere la lingua familiare sulle labbra non basta: senza accompagnarne, senza rettificarne l’uso con lo studio e con la ragione è come uno strumento che si è trovato in casa e che non si sa maneggiare”. E c’è da dire, in proposito, che molte cosí dette grandi firme del giornalismo maneggiano uno strumento che non sanno... maneggiare. E ciò a scapito, per dirla con Vittorio Alfieri, del nostro “idioma gentil sonante e puro”. Chi vuole intendere... intenda.




PS. I vocabolari sono ambigui: attestano ‘disertare’, nel senso di ‘abbandonare’, sia transitivo sia intransitivo, non è proprio cosí, come abbiamo visto. Non si confonda, inoltre, ‘disertare’ con ‘dissertare’. Quest’ultimo verbo ha tutt’altro significato. Non sono, perciò, l’uno sinonimo dell’altro.

sabato 22 ottobre 2011

The o tè?




Da “Domande e risposte” del Treccani in rete:


Chiedo cortesemente quale sia l’etimo corretto in italiano delle parole” tè” e “caffè”, che sovente trovo scritta “thé”.


Cominciamo dalla grafia. Caffè si scrive con l’accento grave. Tè si scrive così, sempre con l’accento grave; ci sono anche le varianti meno comuni (comunque non scorrette) the e thè (quest’ultima, come si vede, sempre con l’accento grave). Tali varianti (che sono soltanto grafiche, si badi: la pronuncia resta la stessa, italianissima, di tè) risentono dell’etimo, vale a dire dell’origine della parola, che viene a noi dal francese thé (questo sì con l’accento acuto), a sua volta proveniente dal cinese t’e. La parola tè è attestata per la prima volta nell’italiano scritto tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento.

Caffè viene, invece, dal turco kahve, che a sua volta proviene dall’arabo qahwa (in origine qahwa voleva dire vino o bevanda eccitante; da qui poi il passaggio a indicare il caffè). La parola è attestata per la prima volta in italiano a partire dal 1585.
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Totalmente diverso il parere (che facciamo nostro) di Aldo Gabrielli:
«tè, sm. invar. (sempre accentato grave). Errate le forme thè, the, thea, e inutili le forme esotiche thé (fr.) e tea (ingl.)».

mercoledì 19 ottobre 2011

«Attovagliare»






Dallo “Scioglilingua” del Corriere della Sera in rete:
Gergo giornalistico-parlamentare..
I giornalisti dei TG danno spesso prova e di sciatteria e di scarso rispetto per chi li ascolta. Un esempio: invece di dire che la tale questione sarà decisa alla Camera dei Deputati dalla "Conferenza dei capigruppo" - cosa che già richiederebbe qualche dettaglio - dicono direttamente "dalla capigruppo". Immaginiamoci un po' cosa ne possa capire un ascoltatore qualsiasi che non sia addentro al gergo parlamentare.
Invece trovo degno di menzione il neologismo "attovagliare" - introdotto chissà da chi - perchè tutti comprendono che se degli individui - in genere politici di seconda e terza schiera - si sono "attovagliati" significa che si sono presi qualche soddisfazione economica o di potere. In cambio di cosa poi si saprà...
(Firma)


Risposta:
De Rienzo Martedì, 18 Ottobre 2011
Beh, certo il neologismo molta origine prende (e non solo in senso etimologico)dai pranzi pantagruelici che fa la maggior parte di lorsignori, molti dei quali - di prima schiera -lasciano anche conti non indifferenti da pagare...
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“Attovagliare” non ci sembra un neologismo, visto che è attestato nell’Enciclopedia Oceanica e in questi altri libri: Vocabolario della corretta pronunzia italiana
books.google.itGiuseppe Malagòli, Luciano Luciani - 1969 - 997 pagine - Visualizzazione snippet
(f. attossi- catrice). attossicazione, sf attovagliare, v.tr. attovaglio [-và-], attovagli). al imbaccare, v.tr. (*attrabacco, *at- trabacchi): porre le trabacche. attraccare, v.tr. (attracco, attracchi). T. mar. attraènte, p.pres. e ...



Dizionario etimologico italiano: Volume 1
Nessuna immagine di copertina books.google.itCarlo Battisti, Giovanni Alessio - 1957 - 4132 pagine - Nessuna recensione

Vocabolario della lingua italiana ...
Nessuna immagine di copertina books.google.itReale Accademia d'Italia - 1941 - Nessuna recensione


Lo stesso Giorgio De Rienzo cosí scriveva il 22 agosto 2009, in risposta a un lettore: « Esiste (lo registra lo Zingarelli) un verbo "attovagliare" con significato proprio di "coprire con una tovaglia". Nel linguaggio colloquiale sta anche per invitare qualcuno a tavola con più persone».

lunedì 17 ottobre 2011

L'ingegnera? Non fa una grinza







Dallo “Scioglilingua” del Corriere della Sera in rete:
la e lo -Ingegnere-
L'Ingegnere ormai può essere sia maschile che femminile, visto che sono in aumento le laureate in ingegneria.
Quindi mi chiedevo se posso scrivere -un ingegnere- con l'apostrofo, intendendo -un'ingegnere femmina- o meglio scrivere -una ingegnere-?
http://casacristina.freehostia.com/
(Firma)
Risposta dell’esperta:
De Rienzo Domenica, 16 Ottobre 2011
Conviene mettere nella frase un elemento che faccia comprendere il soggetto femminile. Esempio: "Cristina è un valido ingegnere". Ripiego: "Tra gli ingegneri Cristina è la più valida". "Un ingegnere come Cristina è il fiore all'occhiello della nostra ditta."
Comunque si comporta come "Ministro": è termine maschile che ha bisogno di "appoggi" per far intendere il riferimento al femminile.
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Si può benissimo scrivere “ingegnera”, voce accolta anche da alcuni vocabolari. Riportiamo ciò che dice il “Gabrielli” in rete: ingegnere
[in-ge-gnè-re]
s.m. (pl. m. -ri; f. -ra, pl. -re)
Chi, avendo conseguito la laurea in ingegneria e l'abilitazione alla professione, progetta e dirige la realizzazione di opere edilizie, meccaniche, industriali, navali e sim.
‖ Ingegnere del suono, esperto che si occupa dell'acustica di un ambiente in cui si svolgono spettacoli, spec. musicali; esperto che ha il compito di creare le condizioni tecniche necessarie per una corretta registrazione sonora
‖ Ingegnere militare, chi progettava e dirigeva le operazioni di fortificazione, di attacco o di difesa di un luogo.
In proposito si legga un’intervista a Francesco Sabatini, ex presidente dell’Accademia della Crusca, cliccando su:




e un articolo, sull'argomento, pubblicato proprio sul "Corriere" in rete:

http://archiviostorico.corriere.it/2000/settembre/28/dice_ingegnera_signora_ingegnere__co_0_00092810588.shtml

venerdì 14 ottobre 2011

«Annichilare»


Forse qualche gentile blogghista, che segue le nostre modeste noterelle, strabuzzerà gli occhi alla lettura del verbo: «Annichilare?! Ma è impazzito!». No, cortesi amici, siamo in pieno possesso delle nostre facoltà mentali. La sola forma corretta sarebbe questa, non “annichilire”, anche se più comune e, quindi, piú conosciuta. Il motivo va ricercato nell’origine del verbo, il latino “adnihilàre”. Molti coniugatori ignorano questa forma privilegiando quella ‘scorretta’ «annichilire», che si può coniugare tanto normalmente quanto con l’infisso “-isc-“: io anníchilo/io annichilísco.
Una rapida ricerca con Googlelibri ha dato 9.170 occorrenze per annichilare e 4.010 per annichilire.

giovedì 13 ottobre 2011

Gli «andabati»


Gentilissimo Sig. Raso,
seguo da tempo le sue “noterelle”, prima sul “Cannocchiale” ora su “Blogspot” ma non le ho mai scritto. Lo faccio ora perché leggendo un vecchio libro mi sono imbattuto in un termine a me oscuro: “andabata”. I vocabolari in mio possesso non ne fanno menzione. Le sarei grato se potesse darmi notizie in merito.
La ringrazio dell’attenzione e le porgo i miei migliori ossequi.
Claudio T.
Verona
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Ha ragione, cortese Claudio, ho consultato i miei vocabolari e, appunto, non ne fanno menzione. È un vero peccato, però, perché il termine in questione è “immortalato” in molti libri, come potrà vedere dal collegamento in calce. L’andabata, adoperato per lo piú nella forma plurale, nell’antica Roma era un gladiatore che combatteva “alla cieca”, con gli occhi bendati, si diceva anche di un “medico non interessato” (probabilmente visitava “alla cieca”, non essendo, per l’appunto, interessato al caso del malato).
http://www.google.it/search?tbm=bks&tbo=1&q=%22andabata%22&btnG=#q=%22andabata%22&hl=it&tbo=1&tbm=bks&ei=ltyVTvHcOar64QTUleTpBw&start=0&sa=N&bav=on.2,or.r_gc.r_pw.,cf.osb&fp=2468a898f8bc207d&biw=1024&bih=637

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Da “Garzantilinguistica.it”:

rotocalco
Sillabazione/
[ro-to-càl-co]

Forma abbr. di rotocalcografia
Definizione
s. m. [pl. -chi]
1 rotocalcografia
2 periodico stampato in rotocalco.
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In alcuni casi, secondo il DOP, Dizionario di Ortografia e di Pronunzia, può essere anche femminile. Si veda:

http://www.dizionario.rai.it/poplemma.aspx?lid=22513&r=22769

mercoledì 12 ottobre 2011

"Per antonomasia"



Dalla rubrica di lingua del Corriere della Sera in rete:
dubbi analisi logica
1. Dante è il poeta per antonomasia. Che cos'è antonomasia in analisi logica?
2. Per favore, ascolta! Che cos'è ascolta?
3. Per Anfitrione si intende il marito di Alcmena. Stessa richiesta.
Grazie Laura
Risposta della titolare della rubrica:
De Rienzo Martedì, 11 Ottobre 2011
1. ANTONOMASIA è figura retorica che consiste nell'attribuire il nome di un famoso personaggio a persona che si ritiene abbia le medesime caratteristiche (es "Sardanapalo" per indicare il vizioso "giovin signore" del Parini.
"PER ANTONOMASIA", invece, è espressione che vuol dire "per eccellenza, per definizione".
2. E' imperativo (esortativo) del verbo "ascoltare".
3. Anfitrione - per antonomasia, appunto - transita dalla commedia di Plauto al "padrone di casa generoso e ospitale".
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L’esperta non ha risposto alla prima domanda. Cercheremo di farlo noi. Nella frase proposta dalla lettrice “per antonomasia” è un complemento predicativo del soggetto.

martedì 11 ottobre 2011

Il "sesso" delle squadre di calcio


Dallo “Scioglilingua” del Corriere della Sera in rete:
Consulenza
Buongiorno,
è corretto scrivere " od una tovaglia....od appesa" suona male!
(Firma)
Risposta della titolare della rubrica:
De Rienzo Lunedì, 10 Ottobre 2011
Oltre a suonare male, è ERRORE.
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“Suona male”, sí, ma non è un errore. È preferibile, però, adoperare la “d eufonica” davanti a parole la cui vocale iniziale è la stessa che precede la “d” (ad, ed, od): ad Ancona; ed Elena; od oggi.

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il, lo, la - squadre sportive e città
Se parliamo della squadra di calcio "roma" senza dubbio diremo "la roma" pensando ad essa al femminile perché si tratta di una squadra che è un sostantivo femminile (la squadra roma), e così vale per "la lazio" che pur essendo un termine maschile usiamo l'articolo al femminile. Perchè non si fa lo stesso con "milan", "napoli", "torino", dicendo e scrivendo "la milan", "la napoli" e "la torino"?
(Firma)
Risposta dell’esperta:
De Rienzo Lunedì, 10 Ottobre 2011
Alcuni nomi di squadre con articolo al femminile sottindendono la squadra di calcio. Altri. con articolo al maschile, sottintendono "footbal club", perché così è nato il nome quando la squadra è nata: che conduce all'articolo "il".
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La Crusca dà un’altra spiegazione:

«Il problema, affrontato in modo convincente da Giuseppe Francescato (in "Lingua Nostra", XXXIII, 1972, pp. 132-37), è stato poi ripreso e riassunto con grande chiarezza da Jacqueline Brunet, Grammaire critique de l'italien, 5 [Le genre], Parigi, Université de Paris, VIII-Vincennes, 1982, pp. 80-82. Quando la squadra porta lo stesso nome della città di appartenenza - o una sua variante, come nel caso del Genoa - il genere maschile serve a distinguerla dal toponimo, che è normalmente femminile (quindi la magnifica Cagliari = la città; il magnifico Cagliari = la squadra). Il femminile, probabilmente dovuto al sostantivo sottinteso squadra, si adopera con nomi derivati da un aggettivo etnico (la Fiorentina, l'Udinese) e con nomi che non corrispondono a un toponimo (quindi l'Atalanta, la Juventus, la Sampdoria e anche la Lazio, che così si distingue oltretutto dal nome della regione). La principale eccezione, di fronte a una spiegazione del genere, è la Roma.»

Dimenticavamo: "footbal" si scrive con due "l" (football).

* * *

Dal sito “Garzantilinguistica.it:
perditempo
[per-di-tèm-po]
Definizione
s. m. invar.
1 cosa che fa perdere tempo
2 [anche f.] chi perde tempo, chi non conclude nulla.
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“Perditempo” è tassativamente invariabile solo nel significato di “persona che perde tempo”; negli altri casi prende il normale plurale: perditempi. Si veda il Dizionario di Ortografia e di Pronunzia (DOP):

http://www.dizionario.rai.it/poplemma.aspx?lid=26174&r=97457


lunedì 10 ottobre 2011

Il discorso e la discorsa



Forse pochi sanno che oltre al discorso, che è - come recitano i vocabolari - un' «esposizione del pensiero mediante parole dette o scritte», c'è anche "la discorsa"; sí, avete letto bene, la discorsa. E chissà quante volte - vostro malgrado - sarete incappati in una discorsa. Cos'è, dunque, questa discorsa? Semplicissimo: un discorso lunghissimo, inutile e noiso. Insomma, un discorso sciocco e inconcludente: quell'oratore ci ha sfinito con una noisa discorsa.

sabato 8 ottobre 2011

«Scudare»



Chissà perché i vocabolari non attestano questo verbo; eppure è "vecchissimo" e lo si trova nel vocabolario degli accademici della Crusca e in molti altri libri:
http://www.google.it/search?tbm=bks&tbo=1&q=%22scudare%22&btnG=
In proposito segnaliamo un interessante articolo di Matilde Paoli della redazione consulenza linguistica della Crusca:
http://www.accademiadellacrusca.it/faq/faq_risp.php?id=8751&ctg_id=44

venerdì 7 ottobre 2011

«Settimana prossima»


Da “Domande e risposte” del Treccani in rete:
Come si scrive: “la settimana prossima” o “settimana prossima”?

Si scrive (e si dice) la settimana prossima. Nella lingua parlata (molto più raramente in quella scritta) si nota l’emergere dell’uso, peraltro minoritario, del sintagma non preceduto dall’articolo determinativo – richiesto invece dalla norma.

L’uso di settimana prossima può essere spiegato da due influssi distinti e convergenti: il modello dei sintagmi temporali coi nomi dei giorni della settimana, che non prevede l’anteposizione dell’articolo (ci vediamo sabato prossimo; l’appuntamento è per lunedì prossimo); l’esempio della prestigiosa lingua inglese, in sintagmi come next week, next month, ecc.
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Come si può notare dalla risposta la “prestigiosa lingua inglese” sta imbastardendo sempre piú il nostro meraviglioso idioma.


* * *
Sempre dal Treccani un interessante articolo di Silverio Novelli: «Il “calcio” della Crusca»

http://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/parole/golf.html

giovedì 6 ottobre 2011

Insignificante...


Ancora un vocabolo, per l’esattezza un aggettivo, del nostro idioma gentil sonante e puro, per dirla con l’Alfieri, adoperato molto spesso impropriamente con l’ “avallo” dei vocabolari: insignificante. L’accezione propria del vocabolo è “che non ha alcun significato”, “che non significa nulla” e simili e in senso figurato “privo di carattere”, “privo di sostanza” e simili: è un discorso insignificante; quello scritto è insignificante; è un uomo insignificante. Bene. Molti lo adoperano, però, “alla francese” con un traslato un po’ forzato: l’azienda ha avuto una perdita insignificante; le ferite riportate nell’incidente sono insignificanti e simili. In casi del genere – chi ama il bel parlare e il bello scrivere – usi vocaboli che fanno alla bisogna: “perdita lieve, trascurabile”; “ferite di poco conto”. Insignificante “alla francese”, insomma, si può sostituire con: lieve, trascurabile, di nulla, di poco conto, ecc. a seconda del contesto.

martedì 4 ottobre 2011

Il bisturi? Viene da Pistoia


Ci sembra interessante scoprire perché il coltello che adopera il medico chirurgo per incidere le parti molli del corpo prende il nome di “bisturi”. Ci affidiamo totalmente a Aldo Gabrielli.
(Il bisturi) dal francese “bistouri”, è, secondo la piú credibile etimologia, parola di origine italiana ritornataci, come parecchie altre, con etichetta francese; essa vien da “Pistorium”, nome latino di Pistoia, dove nel medioevo esisteva una famosa fabbrica di coltelli e coltellini a doppio taglio, detti appunto “pistorienses” (cioè, pistoiesi); di qui l’antico nome ‘pistorini’ dato a codesti coltelli, corrotto poi in ‘bistorini’ o ‘bisturini’, che i Francesi tradussero in “bistouri”. Siccome vano ormai sarebbe proporre gli antichi nomi italiani, si lasci pure “bisturi” (o “bistori”), ma si pronunci sdrucciolo, e non tronco, secondo la pronunzia francese.

lunedì 3 ottobre 2011

I «bagnimaria» o i «bagnomaria»?


Ancora una contraddizione o, se si preferisce, una diversità di vedute tra il vocabolario Gabrielli in rete e il “Dizionario Linguistico Moderno” dello stesso autore, circa il lemma “bagnomaria”. Nel Dizionario Linguistico Moderno il vocabolo viene pluralizzato in “bagnimaria” mentre nel vocabolario in rete viene considerato invariabile: bagnomaria
[ba-gno-ma-rì-a]
o bagno maria, bagno Maria
s.m. inv.
Metodo indiretto di riscaldamento o cottura di un corpo posto in un recipiente che si immerge in un altro recipiente pieno d'acqua, quest'ultimo a diretto contatto con il fuoco: scaldare, cuocere a b.; mettere qualcosa a b.
‖ estens. Recipiente usato spec. nella tecnica di laboratorio per riscaldare o cuocere con tale metodo.
A nostro avviso il vocabolo non si pluralizza, anche se una rapida ricerca con Google ha dato qualche occorrenza di "bagnimaria".

domenica 2 ottobre 2011

«Io azzitto»




Qualcuno dovrebbe azzittire questo coniugatore, che fa il paio con quello della "Scuola Elettrica", perché induce in errore. Collegatevi a:



e in calce alla pagina che comparirà digitate il verbo... azzittire.

sabato 1 ottobre 2011

Senza parole...


Stupisce, e non poco, vedere che un forum di lingua italiana di un autorevole quotidiano, nella fattispecie il Corriere della Sera (in rete), sia affidato a persone digiune delle piú elementari norme sintattico-grammaticali. Segnaliamo, in proposito, la risposta - data a una lettrice - della titolare della rubrica dove è sotto gli occhi di tutti l’orrore sintattico in cui è incorsa.

De Rienzo Venerdì, 30 Settembre 2011
Sarebbe mio desiderio che questo Forum - come alcuni ospiti fanno e apprezzano e lei stessa ha dimostrato - sia vivificato di tanto in tanto anche da battute, e non solo da puntuali citazioni con riferimenti degnissimi ma bisognosi di respiro. Ricordo di aver detto che "fa dare un votaccio alla tesi", pensando si capisse che se già si parla (pardon, si scrive) della tesi in questione come di un "bel argomento" si comincia con il piede sbagliato, perché è un ORRORE GRAMMATICALE.
Forse è rimasto un "non" della precedente frase "non fa dare un buon voto alla tesi ", poi da me sostituita nel "fa dare un votaccio"? Se è così me ne scuso. Errori che capitano anche a chi sta bene. Io sono già un miracolo vivente.

* * *

Ce n'è di tutti i colori
Un interessante articolo di Rita Fresu.
Si clicchi su:
http://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/speciali/colori/Fresu.html