venerdì 24 dicembre 2010

Strenna natalizia


Domani è Natale, e per la ricorrenza desideriamo porgere i nostri migliori auguri ai gentili blogghisti che ci seguono nelle nostre modeste noterelle linguistico-grammaticali. Quale migliore occasione, quindi, per una strenna ai nostri amici se non quella di parlare, appunto, della… strenna?
L’argomento è stato già trattato sul “Cannocchiale”, lo riproponiamo per i nuovi amici che seguono, ora, questo sito.
La strenna, dunque, come tutti sappiamo è un regalo, un dono che si offre a parenti e amici in segno di fratellanza, e perché no?, di “convivenza civile”. E a proposito di dono, ci piace riportare una massima di Pierre Corneille: “C’è chi regala a piene mani, e nessuno gli è grato; / il modo di donare vale piú del donato”. Ma torniamo alla strenna.
In “questioni di lingua”, molto spesso, per conoscere il significato ‘intrinseco’ delle parole occorre rifarsi alla lingua dei nostri padri: il latino. La strenna, infatti, è il latino “strena” (con una sola “n”, si badi bene). Questa “strena” è una dea romana di origine sabina il cui nome deriva dall’aggettivo latino “strenus” (beneaugurante). A questa divinità i Romani avevano eretto un bellissimo tempio sulla via sacra, circondato da un piccolo bosco ricco di ulivi e di alloro. In particolari giorni di festa, soprattutto alle calende di gennaio (Capodanno) i Latini erano soliti recarsi in quel tempio per cogliere da quelle sacre piante un ramoscello da inviare come dono augurale all’imperatore e alle famiglie di alto rango. Dal nome della dea Strena i Romani chiamarono cosí questo tipo di regalo che all’inizio era fatto, appunto, di materia vegetale ma con il trascorrere del tempo si trasformò in materiale piú consistente, come medaglie di rame, d’argento, d’oro. Non c’era cittadino dell’Urbe, allora, che a Capodanno non corresse dall’imperatore per porgergli i propri voti augurali, accompagnando il saluto con una “strena”, un dono, appunto.
Questa usanza si è tramandata – come vediamo – fino ai nostri giorni e dal latino “strena” – attraverso il solito processo linguistico – è stato fatto l’italiano strenna.
Un’ultima curiosità. Con il termine strenna si intende anche una raccolta di poesie, di prose e di altre pubblicazioni edite e messe in vendita durante le festività natalizie per farne, appunto, una… strenna.
Trattando della strenna non si può fare a meno di spendere due parole su un termine affine, non sinonimo (per carità!), vale a dire l’ “omaggio”. In questo periodo l’omaggio, infatti, è particolarmente di moda, soprattutto presso i commercianti che, per farsi pubblicità, sogliono “omaggiare” i propri clienti. Cos’è, dunque, questo ‘omaggio’? Il termine, intanto, non è schiettamente italiano ma francese: “hommage”, derivato da “homme”, a sua volta tratto dal… latino “homo”. Nel Medio Evo venne chiamato “omaggio” l’atto con il quale il vassallo o il feudatario poneva le proprie mani distese e giunte fra la destra e la sinistra del suo signore, davanti a lui, a capo scoperto, dichiarandosi “uomo (homme) di suo tenimento”, cioè servo a lui fedele e obbligandosi, soprattutto, al servizio militare.
Per estensione il vocabolo ha acquisito, in seguito, l’accezione di “rispetto”, di “onore”, di “stima” e coloro che intendono manifestare questa stima, questo onore, offrono, per l’appunto, un omaggio, cioè un dono. Per i vocabolari, infatti, l’omaggio è ciò che viene offerto gratuitamente, in dono, per motivi specialmente pubblicitari. Ma attenzione amici nell’omaggiare, cioè nell’ossequiare, perché come fa notare Abate Galiani nelle “Lettere”, “nel fare una profonda riverenza a qualcuno, si volta sempre le spalle a qualche altro”.

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Un po’ di “buonumore linguistico”. Dopo aver cliccato sul collegamento in calce digitate il verbo “ingrandire” e... la risata è assicurata.
http://www.scuolaelettrica.it/quiz/media/classe2/italiano/coniugatore.shtml


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Dalla rubrica di lingua del quotidiano la Repubblica in rete:

Sergio scrive:
23 dicembre 2010 alle 09:29
Quando facciamo una domanda che implichi quasi un ordine, abbiamo una costruzione con l’imperativo oppure il tempo è da considerare all’ indicativo? es: facciamo una buona torta?

linguista scrive:
23 dicembre 2010 alle 09:35
Dal momento che l’imperativo prevede solo la seconda persona singolare e plurale, direi che il caso da lei ipotizzato sia niente di più che un indicativo, con una chiara sfumatura esortativa dipendente dal contesto.
Alessandro Di Candia
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A nostro avviso non si tratta di un indicativo ma di un congiuntivo, corrispondente all’ “ottativo” greco (e latino) indicante desiderio, speranza, esortazione e simili.
PS. L'indicativo, il congiuntivo e l'imperativo non sono "tempi" ma "modi" del verbo. L'imperativo, inoltre, difetta solo della prima persona singolare.

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