venerdì 25 giugno 2010

Il predicato


I cortesi blogghisti, amanti della lingua, ci scuseranno se oggi tratteremo un argomento esclusivamente grammaticale, che potrebbe risultare noioso, ma la lingua - come si sa - non è fatta solo di... “curiosità”. Abbiamo deciso di parlare del predicato nei suoi vari aspetti e della relativa concordanza. Cos’è, dunque, questo predicato? I libri di grammatica lo definiscono “quella parola o gruppo di parole, che, in una proposizione, indica l’azione compiuta o subita dal soggetto”; oppure “lo stato, la condizione, la qualità, il modo di essere che si attribuisce al soggetto”. Il predicato permette “l’attuazione” del soggetto stesso ed è il termine intorno al quale la proposizione si dispiega e in rapporto al quale gli altri elementi esprimono la loro funzione. Il termine viene, come il solito, dal latino “praedicatus”, participio passato di “praedicare”, cioè dichiarare, esprimere, render noto ed è, appunto, “ciò che si dice del soggetto”. Alcuni esempi renderanno tutto piú chiaro: Mario legge un libro; un libro è letto da Mario. Nelle due frasi i “predicati” (‘legge’ ed ‘è letto’) esprimono rispettivamente l’azione compiuta dal soggetto (Mario) e quella subíta dal soggetto (un libro). Ancora. Mario è buono (il predicato “è buono” indica una qualità propria del soggetto); d’estate molti fiumiciattoli sono asciutti (il predicato “sono asciutti” indica la condizione, lo stato in cui si trova il soggetto, cioè i fiumiciattoli). Il predicato può essere di due specie: verbale e nominale. Il “verbale” è costituito da un verbo che, da solo, ha un senso compiuto: Luigi dorme; Mario cammina; la finestra è aperta. Quello “nominale” è rappresentato, invece, da un sostantivo o da un aggettivo unito al soggetto mediante una voce del verbo essere, e in questo caso il verbo essere assume la denominazione di “copula” (legame, congiungimento) in quanto serve a “legare”, “congiungere” il soggetto con il sostantivo o l’aggettivo: Carlo è un ragazzo; Giovanni è bello; Maria è dolce. È necessario tenere presente - per quanto attiene al “predicato nominale”- che possono assumere l’ufficio di “copula” anche altri verbi intransitivi denotanti un “modo di essere” come, per esempio, “diventare”, “rimanere”, “nascere”, “parere”, “sembrare”,
“trovarsi” ecc. In questa particolare funzione tali verbi sono chiamati, per l’appunto, “verbi copulativi”: mi sei sembrato molto stanco. Occorre prestare molta attenzione anche al verbo essere: non sempre ha la funzione di “copula”. Quando significa “esistere”, “stare”, “abitare”, “appartenere”, “trovarsi” e ha, quindi, un significato “completo in sé stesso”, non è “copula” (cioè “non congiunge”), bensí predicato verbale: Dio è (esiste); Roma è (si trova) nel Lazio; Giulio è (abita) a Pisa; questo libro è (appartiene) di Pasquale. Parimenti il verbo essere non è copula quando svolge la funzione di ausiliare di altri verbi; nelle forme passive dei verbi transitivi, quindi, e nei tempi composti dei verbi intransitivi; il tal caso il verbo essere è un “tutt’uno” con il verbo di cui è ausiliare e, con questo, costituisce il “predicato verbale”: Mario è partito per le vacanze. Due parole, ora, sulla concordanza del predicato (nominale o verbale) in quanto molto spesso ciò è causa di molti dubbi, anche in persone la cui cultura linguistica non desta sospetti. Vediamo, dunque. Il predicato verbale concorda con il soggetto nel numero e nella persona: io leggo; voi mangiate; essi partono. Se ci sono piú soggetti il predicato verbale è posto, ovviamente, al plurale: Giovanni e Mario leggono. Le cose si complicano, ma non piú di tanto, se i soggetti sono di persona diversa: il predicato verbale sarà di prima persona plurale, se uno dei soggetti è di prima persona; avrà, invece, la seconda persona plurale, se nella frase c’è un soggetto di seconda e non c’è uno di prima. Gli esempi che seguono renderanno tutto piú chiaro: io, tu, voi e Mario “faremo” quanto dite; tu e Pasquale “farete” quanto stabilito. Il predicato nominale concorda con il soggetto nel genere e nel numero quando è costituito da un aggettivo o un sostantivo che ha una forma per il maschile e una per il femminile (nome mobile). Se i soggetti sono piú di uno e dello stesso genere, il predicato nominale è posto al plurale nello stesso genere dei soggetti, purché si tratti sempre di un nome mobile o di un aggettivo: Giovanna e Carla sono buone. E per finire, alcune osservazioni riguardanti entrambi i predicati. Molto spesso il soggetto è costituito da un nome collettivo seguito da un complemento di specificazione plurale; che fare in questo caso? Il predicato si mette al singolare o al plurale? In altre parole, si dice un gruppo di persone è partito o sono partite? Nel caso specifico la “legge grammaticale” dà ampia libertà di scelta: entrambe le forme sono corrette. Il predicato, quindi, può essere espresso sia al singolare (in questo caso concorda con il soggetto grammaticale) sia al plurale (e in quest’altro caso concorda con il complemento di specificazione, cioè con il soggetto logico: le persone). Quando i soggetti sono piú di uno e indicano cose, inclinazioni dell’animo, idee, considerate come un solo concetto, una sola realtà, un unico sentimento, il predicato (sia esso verbale o nominale) può essere espresso tanto al singolare quanto al plurale. In altri termini possiamo dire: la rabbia e l’odio mi assalirono o mi assalí; l’amore e l’affetto ha fatto o hanno fatto il miracolo; la pace e la tranquillità sono la prerogativa o è la prerogativa di quella famiglia. Come vedete, la “legge” della lingua non è poi tanto severa.

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